I giochi visti da chi li fa e li fa giocare

I giochi visti da chi li fa e li fa giocare

giovedì 13 marzo 2014

Considerazioni su giochi, studenti, giocatori e... "babbani"

Come succede ormai da sette anni, e come abbiamo già raccontato nel 2013, anche quest'anno ho partecipato al Workshop del Politecnico di Torino, nato da un'idea di Alessandro Dentis e Walter Obert e cresciuto con la collaborazione dei ragazzi di Giocatorino e di quelli di Elefanti Creativi.
Quest'anno, gli altri addetti ai lavori che hanno prestato la loro opera durante la settimana universitaria, sono stati Marco Donadoni, che si è occupato di presentare ai ragazzi i temi progettuali e di organizzare il lavoro in team, Carlo Emanuele Lanzavecchia, che ha portato la sua esperienza di autore, spiegando come si giunge dall'idea al gioco, Paolo Vallerga, che si è occupato di grafica e Luca Bellini, che nell'ultimo giorno ha visionato i progetti, dando la sua opinione di autore edito.
In mezzo a tutto ciò, come di consueto, mi sono occupato del lato più pratico del workshop, dando ai futuri designer alcune indicazioni di carattere pratico (e anche filosofico) sulla creazione di un prodotto, a livello di materiali e di scelte concrete.

Ciò di cui vorrei parlare in questo post, però, è la sensazione un po' amara provata durante la mattinata in università. Intendiamoci: le idee proposte dai cinque gruppi di lavoro erano tutte interessanti e con elementi innovativi a livello di materiali o di design (d'altronde, è proprio il campo in cui si laureeranno gli studenti coinvolti), ma tali idee erano immancabilmente legate al gioco dell'oca o, ad andar bene, ad Abalone, che per carità è un bellissimo astratto, ma non proprio recentissimo!
Ora, questo non è un problema nel caso specifico di questo workshop: il politecnico si occupa di design e l'attenzione naturalmente era focalizzata su quell'aspetto. Tutto il lavoro è anzi partito dai giochi antichi e lo scopo era dichiaratamente quello di implementare soluzioni innovative senza badare all'aspetto regolamentare, proprio per poter concentrare gli sforzi di quei cinque giorni sugli aspetti più estetici e funzionali dei prodotti. Anzi, come testimoniano gli organizzatori, molti ragazzi hanno dichiarato di essere affascinati da questo mondo però...

Però se le basi fossero migliori ci sarebbero più idee, più spunti, più possibilità. Se invece di conoscere pochi giochi ne avessero provati decine e decine come un appassionato medio, quante altre soluzioni innovative avrebbero potuto concepire?
Come ho già avuto modo di scrivere qui e qui (e come ho detto ai ragazzi), sono fermamente convinto che il mondo dei giochi sia un settore in cui si possono trovare sbocchi professionali interessanti: la crisi si sente meno che in altri mercati e le opportunità di lavoro ci sono, ma per poterle cogliere a pieno servono delle basi che in Italia non abbiamo. I ragazzi stessi hanno dichiarato che avrebbero voluto essere più esperti nel campo ludico e alcuni di loro hanno provato anche una sensazione di inadeguatezza per questo motivo e ciò da una parte spiace, ma dall'altra va preso come un possibile punto di partenza.
Il fatto che a tutt'oggi nella nostra nazione l'unico gioco che tutti conoscono sia del 1933 secondo me è tristissimo. È come se tutti conoscessero esclusivamente la versione orginale di King kong (non parlo del remake del 1976, ma proprio dell'originale di oltre ottant'anni fa) e non avessero mai visto nessun altro film in vita loro. Ci rendiamo conto?
Ciò fa ancor più male se pensiamo, come ben sanno tutti quelli che leggono blog come questo, quanto sia bello, intelligente e divertente l'hobby dei giochi. Sappiamo tutti che sviluppa le relazioni sociali, permette di ragionare, abitua a seguire le regole e, soprattutto, diverte e appassiona in modo sano e, tutto sommato, anche abbastanza economico.
M perché questo accade e come fare a far crescere una reale cultura ludica?
Di certo non aiutano le politiche commerciali delle grandi case (le uniche in grado di fare pubblicità in televisione e di riempire sistematicamente gli scaffali della grande distribuzione), che ovviamente hanno tutto l'interesse a continuare a proporre i propri best seller, così come non aiuta il proverbiale conservatorismo italiano, che da sempre fa sì che ogni novità venga accolta con scetticismo e sospetto, ma entrambi questi motivi non devono essere visti come ostacoli insormontabili e non devono farci demordere dal compito di diffondere il nostro messaggio.
Noi addetti ai lavori, di certo abbiamo l'obbligo di cercare di proporre titoli sempre migliori, che appassionino le nuove leve e mantengano acceso il sacro fuoco nelle vecchie. Forse non sempre riusciamo a farlo bene, ma non c'è dubbio che sia il nostro principale interesse, anche perché se sbagliamo ne paghiamo le conseguenze.
Quello che però vorrei fare qui è lanciare un appello agli appassionati: da editore sono sinceramente grato per ciò che fanno, sia nell'organizzazione di eventi, sia nella divulgazione su internet o nelle ludoteche , però, a  ben vedere, ho notato a volte un atteggiamento un po' troppo snob da parte di molti di loro. Anche a me piacciono i gioconi complessi, che mi danno un senso di gratificazione e mi fanno sentire tanto bravo e intelligente, ma non per questo penso che tutti i giochi semplici siano da evitare o da derubricare come bambinate. Soprattutto durante le fiere e convention, ma anche quando si palesa in ludoteca un nuovo giocatore, penso sia fondamentale essere disposti ad insegnare anche i titoli che a noi possono sembrare banali e, soprattutto, non giudicare i giocatori occasionali come meno intelligenti di noi, solo perché non hanno (ancora) la nostra stessa passione. In questo senso, trovo da sempre insopportabile l'uso diffuso del termine "babbani" per designare queste persone. A me suona offensivo e irrispettoso e penso che prima verrà abbandonato, meglio sarà per tutto il movimento.
Più saremo aperti di mente, più gente coinvolgeremo. E sarà meglio per tutti :)

6 commenti:

  1. Bell'articolo Mario, mi trovi d'accordo praticamente su tutta la linea... mi ha particolarmente colpito il paragone con King Kong, effettivamente è una triste situazione.
    Hai cmq ragione nel dire che sta anche e soprattutto a noi appassionati cercare di dare una svolta alla situazione...
    dobbiamo rimboccarci le maniche! ;)

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  2. Grazie, Max :)
    Rimbocchiamoci le maniche e debabbanizziamo l'ambiente (nel senso di combattere il termine) :)

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  3. Decisamente sarebbe ora di archiviare il termine babbani: io ad una riunione mi incazzai come una iena quando lo tirarono fuori, e tutti a guardarmi come un marziano ...

    Ma a noi piace essere i conoscitori di una conoscenza arcana vietata alla massa ...

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  4. In realtà credo che non sia neppure usato con particolare cattiveria o disprezzo. Però resta il fatto che è davvero fastidioso e dubito che avvicini la gente ai "nostri" giochi :(

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  5. Ciao.
    Mah, non sono così sicuro che i giocatori possano fare molto di più di quanto già fanno. Da giocatore cerco sempre di “divulgare” e coinvolgere amici al gioco, e benché mi piacciano i gestionali e roba più sul grasso che sul magro, sul mio scaffale non mancano titoli leggeri e introduttivi da proporre agli assoluti novizi.
    Credo sia piuttosto naturale e che tutti facciano un po’ così con le nostre passioni (se fai karate o balli la sala solitamente racconti agli amici quanto è bello e divertente farlo, e spesso proponi “Perché non vieni a provare anche tu, c’è la lezione di prova gratis”).
    A naso credo che i giocatori snob siano una minoranza e che non ci sia una volontà, da parte dei giocatori più navigati, di tener su quelle barriere che oggi ci sono (anzi credo che ogni giocatore sarebbe più contento se ci fossero in giro più giocatori).
    A mio avviso a rimboccarsi le maniche dovrebbero essere editoria e centri giochi.
    Editoria: personalmente mi vengono i vermi quando leggo l’ennesima iniziativa del noto quotidiano di grandissima tiratura nazionale, di allegare il Monopoly col numero del venerdì. Non aiuta la divulgazione del gioco ma la danneggia. Chi ha già il Monopoly non lo compra (e pensa: ho già tutto non ho bisogno di altro), e chi non ce l’ha non lo compra perché comunque è "solo" Monopoly, ci giocavo 30 anni quando c'era ancora Il Pranzo è servito condotto da Corrado, piacerà a mio figlio che oggi gioca ad Angry Birds sull’Ipad?
    Centri giochi: la maggior parte dei centri giochi NON hanno giochi in demo, da farti provare in negozio. Trovi un commesso che ti “racconta” com’è il tal gioco leggendo dal fondo della scatola. A mio avviso quando entri in un CGE i giochi dovrebbero tirarteli in faccia. Dovrebbe esserci un tavolo all’ingresso e 6-7-8 giochi di ogni categoria (filler, party game, bambini, cinghiali…) da far provare.
    Molti amici che hanno provato giochi a casa mia (soprattutto quelli con figli) se li sono poi comprati. Credo di aver fatto vendere 5-6 copie solo di Dobble semplicemente facendo provare il gioco. Tre amici hanno comprato L’Isola Proibita. Due Super Farmer. Tre Fantascatti.
    Provato, piaciuto, comprato.
    Forse i giocatori possono fare di più ma a mio avviso editoria e cge possono fare MOLTO MOLTO di più.

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  6. Beh, non entro nel merito specifico di una catena come CGE, ma in generale è vero che molti negozianti non sono preparati su quello che vendono, purtroppo.
    Se ti consola, ti posso dire che il nostro distributore, Raven, omaggia copie demo aperte di Fun Farm (e immagino lo faccia anche per altri giochi) ai negozianti, appositamente per spingerli a spiegarli.
    Anche sull'editoria hai senz'altro ragione. Entrambi sono aspetti della mancanza di cultura ludica di cui parlavo nel post. Se mi sono rivolto ai giocatori, è perché so che sono quelli su cui è più possibile fare una campagna di sensibilizzazione, soprattutto perché sono i principali fruitori di un blog come questo.

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