giovedì 24 aprile 2014

Mario Sacchi è stato in prigione, senza passare dal via.

Giovedì 17 aprile è stato uno di quei giorni che ricorderò a lungo, nella mia vita, perché ho vissuto un'esperienza molto intensa, che ha suscitato in me emozioni contrastanti.
Ero stato contattato da Benedetto, uno dei ragazzi della Ludoteca Galliatese con cui gioco tutti i mercoledì e che tiene un corso sui giochi ai detenuti del carcere di Novara, per incontrarli e parlare loro della mia esperienza di editore e di appassionato.
Per affrontare il tema, ho pensato di partire da alcuni concetti generali e ho quindi proiettato i cartelli informativi che avevo realizzato per SlowGame, spiegando quali siano, secondo me, i punti di forza di questa particolare passione. Con sorpresa, devo dire che non sono riuscito a finire tutto il discorso che mi ero preparato, perché hanno iniziato ben presto a farmi domande, continuando per due ore, con reale interesse per tutti gli aspetti della creazione di un gioco, dall'ideazione alla produzione (e una particolare attenzione agli aspetti economici, devo dire).
Certo, nella loro condizione, è chiaro che qualsiasi argomento che li aiuti a far passare il tempo sia ben accetto, ma gli stessi assistenti sociali che mi hanno affiancato in quest'esperienza mi hanno confermato che molti corsi che si tengono fra quelle mura sono sempre la solita roba e i detenuti vi partecipano perché... Beh, perché non hanno di meglio da fare.
Per rispondere meglio alle loro curiosità ho portato cone me (accertandomi di non far cadere accidentalmente una lima in una scatola) Fun Farm e Sator, come esempi di prodotti che contengono praticamente tutte le tipologie di materiale e del cui processo produttivo posso parlare con cognizione, e Criminal Mouse, come esempio di gioco sviluppato interamente da detenuti (nel caso specifico, quelli di S. Vittore nel 2004). Devo dire che quest'ultimo è stato quello che ha suscitato più curiosità, soprattutto per via delle carte che raccontano situazioni reali di vita carceraria (memorabile, per me, la frase: "Ehi, questa carta parla del mio stesso identico reato e dice che ti danno sedici anni! Io ne ho presi solo quindici, mi è andata meglio!"), ma anche perché il gioco dell'oca, come ben sappiamo, è ancora il centro dell'immaginario ludico italiano.
Ora, è ovvio che la mancanza di cultura ludica non sia certo uno dei problemi della vita carceraria (ci sono movimenti politici che hanno fatto di questo il principale argomento delle proprie campagne elettorali, come ben saprete), ma da appassionato e da addetto ai lavori sono davvero convinto che entrare in contatto con i nostri giochi (nel senso di "quelli che piacciono a noi appassionati") possa essere un momento di svago costruttivo e positivo per queste persone. Poi, se vorranno lavorare a un nuovo titolo per superare quello dei loro "colleghi" di S. Vittore, ben venga: so bene quanto possa essere appassionante e gratificante questo tipo di processo creativo e sono certo che saebbe un'ottima esperienza, per loro.
Ma anche senza arrivare a tanto, spero che, come proposto dagli assistenti sociali al termine della giornata, si potrà organizzare qualche incontro ludico con la ludoteca in carcere. Non risolverà di certo i loro problemi, ma visto com'è andata la loro partita a Fun Farm, sono certo che almeno si potranno divertire un po'! :)

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